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LA VISIONE DI LEONARDO!

Con pochi denari nelle tasche, sorseggio vino scadente e non amo il mio paese,
paese di debosciati belanti e imbrancati che odiano lo straniero, e gettano i rifiuti dal finestrino,
come quei vecchi disgraziati che dormono sotto i portici con cartoni e stracci,
che deturpano il paesaggio di questa fogna di paese crudele e selvaggio,
paese o nazione, un cazzo di orgoglio patriottico, esce da me come una scoreggia,
non ho talento, ne voglia di lavorare, ne di costruire cattedrali di niente sulla sabbia,
al diavolo la tradizione, ci si masturba l’anima con quello schifo della tradizione,
si costruisce la prigione, di un retaggio maledetto, o memoria svanita,
paese revisionista, religioso, troppo religioso con i suo preti pedofili e dio bianco e guerriero,
fosse vero che ogni cazzo di uomo è un isola, ma non è così,
siamo agglomerati urbani in disfacimento, con la rupe di sparta sempre aperta al grido,
dove cazzo è quella subdola bontà che aleggia nelle chiese di domenica, a natale? E quante sono quelle chiese, che le campane mi stracciano le palle, oramai quasi vuote,
Non vuole lo straniero il maschio italiano che si sbatte la prostituta rumena,
bimbe doloranti in riva al nulla di strade nere, dove orchi senz’anima e dal cazzo moscio ne godono,
vedo di sera, sul cavalcavia della tangenziale, alla rotonda del camionista,
poliziotti giocare con queste bambine, e fingere di non conoscere la loro pena,
questo paese bigotto che non vuole case chiuse, ma cupe strade aperte.
Ci sono tasse da pagare, multe da pagare, pizzi legali da pagare, direzioni di via senza punto d’arrivo,
ci sono mura imperforabili di dolore rappreso come sangue nel cemento,
ci sono bambini avvinghiati ad un video osceno e destrutturante,
madri stupide e compiacenti che dicono: Guardate quanto è bravo mio figlio che azzera il pensiero!
Ci sono ipocriti che pensano che la carne nasca già nel sacchetto di plastica dell’ipermercato,
ipocriti sepolcri imbiancati che si vestono con la Cina sulla pelle, calciano i palloni dei bimbi siriani in Turchia, che indossano i diamanti della sierra leone, che consumano olio di palma,
che hanno la badante Moldava, lo sguattero filippino, l’operaio di fatica senegalese,
ipocriti che non sanno del mare insanguinato e del traffico umano dei centri d’accoglienza,
detesto questo paese, le sue città museo, le sue banche maleodoranti,
la sua sottomissione alla missione di pace dalla bomba intelligente in difesa della cultura dominante,

manca a questo paese, la follia dei danzatori, o musici di strada, anarchici dal cuore pregno di utopia,
manca l’utopica sensazione di bello, di casa comune, di aggregazione,
manca il poeta che declama, che vive la sua poesia, come se il cuore e l’anima fossero un unico verso,
manca la primavera, o semplicemente il suo aroma nelle narici bambine,
manca la consapevole allegria in divenire di un sorriso allumante,
manca la comune dove l’amore è libero, perché l’amore se non è libero che amore è?
Manca l’essere ermafrodita o essenza dualistica dell’uno.
La visione di Leonardo, la visione di Cartesio, la visione di mio nonno Ernesto.
Ed ora, in un ora diseguale, alla fine dell’oscuro declamare, che mi resta?
Non ho amici, ne conoscenti, ne strade da percorrere, ho tumuli di ghiaccio dove giace la memoria,
non ho fedi, ne passioni, ne razionali ostentazioni di nulla, ho amore, tanto,
che deborda senza controllo, dalle mani, dalla bocca dal mio sesso turgido,
ho tanto di quell’amore che potrei farne un giardino di margherite, sulla collina,
da dove mia Madre, guardava il tramonto ed aveva la carezza facile….

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Gianni venturi Bologna, Italy

Suonare, scrivere, recitare, dipingere, scolpire, trovare nuove galassie, esplorare i meandri più nascosti dell’animo umano, della storia, non essere massa, ma numeri primi.
Può la musica trasformarsi da puro intrattenimento a scintilla che riattiva i neuroni?
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